lunedì 24 giugno 2013

Buio

È buio qui dentro. 
Ho gli occhi spalancati come gabbiani e non vedo nulla, mille puntolini di colore bluetto mi vorticano davanti, penetrano attraverso i miei occhi e fuoriescono da essi.
C’è buio intorno a me.
Provo a capire.
Aggrotto la fronte.
Penso al buio. Allo spazio.
Alla sua assenza.
I puntini continuano a danzare, spumeggiano il loro mistero. 
Ogni tanto trovo una parete.
Mi disgustano questi muri che definiscono lo spazio.
Allora, vado lì, dove non avverto la loro presenza.
Mi siedo e respiro piano.
Mi collego al mio respiro. A questa prima cellula di tempo. Dentro e fuori. Dentro e fuori. Sento il mio cuore, batte. E il suo tempo diventa quello del respiro. 
Diventa il mio tempo.
Mi frugo nei pantaloni. Dei fiammiferi.
Ne accendo uno.
Avverto deciso, il sapore dello zolfo.
Mi volto indietro.
“ah, sei tu. Vieni.” “Cosa ci facevi qui?”
“osservavo il buio, e tu?”
“cercavo di capire qualcosa”
“che cosa?”
“non lo so”
“non lo sai? Prova a ricordare”
“buio”.
ci sediamo insieme. Il buio ora è poco lontano da noi.
Lo teniamo a bada con i fiammiferi.
Chissà perché poi.
Era così bello, senza spazio. Solo il mio tempo.
Ora sento della polvere.
Le narici mi bruciano dolcemente.
Questa polvere sembra parola.
È dappertutto.
“hai visto questa polvere?”     “già, sembra memoria.”
“non memoria ma parola.” 
 “allora, mistero.”
“chissà.” 
soffio sui fiammiferi. La loro capocchia diventa color cenere. Ma non ne sono sicuro. Non ci sono più colori.
Buio.
Stringiamo le nostre mani. Le sue sono molto più delicate delle mie, nocca contro nocca. La pelle impedisce ogni ulteriore compenetrazione.

Penso.Un uomo è disteso sulla terra. C’è erba.
Poi qualcosa lo trafigge. Si inarca e, istintivamente, mette tutte e due le mani sull’oggetto che gli ha bucato l’addome.
I suoi muscoli guizzano per estrarre l’arma che lo ha offeso. Ma non ci riesce. Il sole rossastro cala lentamente su di lui. Scolorando il suo dolore.
Abbandono quest’ uomo al destino.
Sono di nuovo in me.
Un tamburo. Batte un tamburo. Il suo ritmo si sovrappone al mio. Ma dolcemente, senza sforzo accetto dentro di me questo suono e ora diventa mio.
Non c’è più il tamburo. Ma la mia cassa toracica che rimbomba ad intervalli regolari molto più lunghi di quelli del cuore.

Sono musica.

Mi stanco presto di esserlo. E ordino al tamburo di fare silenzio. Non servono parole. Alzo una mano che non vedo e un suono che non sento, ma che sono, si zittisce.
Ma sono ancora tempo. È colpa del cuore.
Zittisco pure lui. Con un cenno del capo.
Il sangue non  circola più: mi si ferma in corpo. Ho bloccato il mio tempo e posso rimanere uguale a me stesso per l’eternità.
C’è buio intorno a me e buio dentro di me, non meno profondo.
Sono come la cerniera tra universi.
 Lascio la sua   mano. Il resto del suo corpo era già sparito. Non faccio domande perché allontanano le risposte. Saluto . E la sua mano delicata va a ricon
giungersi a lei.
Il cuore è un ribelle.
Ha ripreso a battere.
Divento di nuovo diverso da me stesso.
Ora dentro di me non c’è buio.
E canto.
Canto la parola.
Con voce melodiosa.
Canto la parola attraverso il buio.
Lacerazioni.
Lacerazioni del buio.
Vedo come nervature nello spazio.
È stata la parola. Ha pietrificato l’assenza dello spazio.
La sua essenza.
Sono molto addolorato, non volevo.  
Mi sollevo in piedi. 
Respiro tempo. 
Mi sollevo da terra .
Ora non c’è più sostegno per me. Sono diventato atomo di buio.
Decido che non è giusto.
E lascio il mio corpo.
Così com’è. 
Sospeso.

 Addio. 

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