lunedì 24 giugno 2013

Torino 22 giugno 2009

Torino 22 giugno 2009
In una serata come questa. 
Quando non sai molto bene chi sei. Una serata che viene dopo una giornata di lavoro. Una giornata di quelle che solo dopo che le hai vissute capisci perché si dice “una giornata grigia”. 
Oggi il grigio lo hai respirato a pieni polmoni da subito, appena ti sei svegliato. E non sapevi se raderti o no. Non sapevi se avevi fame oppure no. Ti sei svegliato, e non sapevi niente. 
Preparare il caffè. Infilare i pantaloni, abbottonarsi addosso una camicia. Un rituale composto di gesti insulsi, grigi. Leggere un libro in tram, temendo che la storia che leggi in quelle dieci fermate sia l’unica che ti capiterà di vivere in tutta la giornata. 
E hai paura per te stesso, per quello che ti può capitare e ancora non sai cos’è, eppure sai che sarà terribile ed imminente e sai anche che non puoi farci niente. A volte, solo a volte, ci svegliamo nel mondo e siamo indifesi e fragili. Annoiati dall’esistenza. A volte, solo a volte, chiudiamo una saracinesca su tutte le possibilità che ci si offrono. Ed è questa la morte di noi vivi.
E poi tornare a casa. Che solo quando ci torni da queste giornate strane capisci cosa voglia dire “tornare a casa come in trance”.
Fermarsi al supermercato ed essere ancora presi dalla noia. Dal disgusto. Montagne di cibo, finto ed imballato nella plastica. Nato dal sangue degli animali, da violenze sulla terra e sugli uomini. E la tua bocca che di lì a poco macererà tutto questo dolore con crudele noncuranza, magari davanti ad un telegiornale dove, magari, sfilano le immagini di disperati che per quel cibo così scontato e semplice nel tuo piatto in ceramica, sarebber invece arrivati a vendere le loro mogli come schiave.
E poi, conversazioni al cellulare, chat su internet. Tutto, pur di sfuggire alla noia di se stessi. Tutto per darsi una possibilità che riempia il vuoto creatosi, non si sa come, intorno a noi. Il nostro, che è un vuoto abissale, infinito, tetro, melmoso, freddo e malvagio. Un vuoto di fango che degenera nelle pance e nelle schiene nostre. Un vuoto che gode di se stesso. Proprio come sarai costretto a fare tu, di lì a poco nel tuo letto. Solo. Alla fine di queste ore che hanno composto un giornata della tua vita, passata via. Volata lontano, fino a ricongiungersi a tutte le tue altre giornate, ormai avvolte a formare quella palla di carta straccia e coperte polverose cui ti aggrappi con forza nei momenti neri in cui il vuoto sta per ingoiarti. 

Passato.

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