lunedì 24 giugno 2013

tutto quello che mi serve è un fotografo

“tutto quello che mi serve è un fotografo che documenti le mie serate, le mie cene e le mie malinconie con un qualche filtro instagram o simili per farmi avere più carisma e sintomatico mistero. 
altro che occhiali sole in discoteca, Franco”
Questo status l’ho scritto oggi 24.06.2013 su Facebook.
Poi l’ho riletto e ho pensato “qua sotto c’è qualcosa in più che sono curioso di indagare”.

in fondo la questione è arcinota che riassumerla è tanto facile quanto banale: chi vogliamo prendere in giro con ste fotto fatte su instagram?, a chi vogliamo sembrare più intelligenti, più ubriachi, più fighi, più alti, più magri per chi stiamo confenzionando l’illusione del “più”?
perché c’è bisogno di un filtro che saturi i colori, che li desaturi, che squarci le nuvole del cielo con una luce arancio che il sole non ha mai avuto (ma che forse avrà se l’inquinamento atmosferico proseguirà di questo passo)?
Ci sono due frasi che mi vengono in mente e che vorrei mettere al centro della questione che mi rendo conto essere un po’ capziosa

Frase 1:
La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci
servono. [per piacere a persone che non ci piacciono]
(Palahniuk , Fight Club non ho trovato la citazione della parte tra parentesi quadre, forse ricordo male io?)

Frase 2:
Chi controlla passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato
(Orwell, 1984)

Boh, io credo che in fondo le foto che facciamo, la documentazione (manomessa dai filtri) che portiamo a riprova della nostra vita e delle nostre notti da leoni, sia tutto sommato solo pubblicità di noi stessi.
Forse facebook (dove queste foto traboccano da ogni bacheca) è solo una gigantesca serie di vetrine. Dove operano persone che sono negozianti, pubblicitari e sponsorizzatori dello stesso identico prodotto: sé stessi. Dei “one man band” che finiscono per fare pure i manichini dietro queste vetrine. Manichini baciati da secchiate di luce arancio-falsa.
Forse oltre a farci venire l’affanno nell’inseguire macchie e vestiti che non riusciamo a comprare, ci piacerebbe diventare noi stessi un prodotto: “guardami sono figo, comprami”. Vorremmo che la gente facesse lavori che odia per piacere a noi. A noi cui quella gente non piace neanche un po’.
Questa ansia di diventare belli e perfetti l’abbiamo sempre avuta. In qualche modo ha a che fare con come l’uomo gestisce il proprio passato. Qualcosa che secondo me in psicologia si chiama “rimozione”. E se non lo è direttamente, state pur certi che lo si può collegare alla rimozione in poche semplici mosse.
Il problema a far scendere in campo la psicologia  è che prima della fine di questo pezzo diventerete tutti froci. Se invece lo eravate già, diventerete etero. E così per tutte le categorie umane cui appartenete. C’è qualcosa di sbagliato in voi, la psicologia lo sa e ve lo strapperà dal cuore. Che ci volete fare.

La pulsione umana di controllare il passato per dire “si in fondo non era poi così male”, oppure “ti ricordi quanto ci si divertì quell’inverno lì a sciare” c’è sempre stata.
Semplicemente perché la tecnologia non influisce sulle pulsioni umane, ovvero non ne aggiunge di nuove e non ne elimina di vecchie. Magari può dare modo di ingigantirne alcune (il sesso?) e diminuirne altre (non so quali, la tecnologia le ha diminuite fino a non farle percepire più) ma non si crea nulla dal nulla. E noi in fondo siamo nulla o poco più.
Perciò anche davanti al fuoco 1.0 la gente diceva di orsi che non aveva ammazzato, di dei che non aveva sconfitto, di tele che non aveva tessuto e così via.
Semplicemente oggi lo vediamo.
Perché oggi vediamo foto, video, leggiamo frasi di ringraziamento per la serata appena trascorsa dove noi non siamo coinvolti. Noi non siamo seduti intorno al fuoco con quelle persone. Quelle persone sono sedute davanti al fuoco da sole a parlare di se stesse, noi le vediamo dalla capanna vicino e ci chi chiediamo “ma che cazzo sta facendo Tizio?”, “con chi parla Sempronia?”, “perché racconta al vento cose che il vento ed il buio non gli hanno chiesto?”.
È sempre molto facile vedere l’assurdità del comportamento altrui quando non ne siamo in alcun modo impattati. Poi ad un certo punto è il nostro momento di sedersi davanti al fuoco e via come d’incanto tutte quelle foto e video e status diventano importanti e degni di essere raccontati e documentati.

Volendo mantenere un altro po’ questa metafora del fuoco (e poi basta però perché non è che sia granchè) io mi sono fatto l’idea che parliamo sempre a qualcuno e che se sembra che non stiamo parlando a nessuno (perché il vento ed il buio non sono qualcuno vi avverto) allora per un principio di “entia non sunt moltiplicanda sine necessitate” stiamo semplicemente parlando a noi stessi.

Alla fine tutto sto giro, per dire che la pubblicità di noi stessi la facciamo noi stessi per noi stessi. Siamo noi stessi che vogliamo disperatamente convincere di essere più belli, fighi e divertenti di quello che siamo in realtà. Che poi cosa siamo in realtà non vuol dire niente. Nessuno sa quello che è in realtà. Cosa vuol dire “quello che sei in realtà”? il tuo potenziale o quello che hai espresso fino ad ora? O la percezione che hai di te?
Secondo me con questa storia delle foto irrealistiche di facebook/di instagram/di quello che ti pare, lottiamo o compensiamo con una percezione “social” quella che è la nostra percezione “personal” (se così si può dire).
E il modo più semplice per riuscirci è “manipolare” il proprio passato. (frase 2, se vi ricordate).
Che serata ho passato ieri sera? Hipster, caciarona, elegante, romantica, solitaria, malinconica. Ogni foto, ogni frase, ogni cosa può far pendere l’ago verso uno o altri mille di questi piatti. Non c’entra tanto come io la ricordi, il ricordo personale è materia organica (e quindi deperibile e disperdibile tra le nostre sinapsi fino a che non vada a concimare il sottoterra dell’inconscio), ma il ricordo della mia digitale è destinato a rimanere lo stesso nei secoli dei secoli. Uguale a se stesso, corroborato dai commenti degli amici.
Quando vorrò vedere come passavo le serate di dieci anni prima, basterà cliccare e vedere foto la cui evidente inaderenza al reale è ormai caduta in prescrizione. Sarà bastato tirare indietro la pancia per dire “però a quei tempi non ero mica tanto grasso come ricordavo”. Chi se lo ricorda più come eri? Tu ricordi più di aver tirato indietro la pancia in quella foto? Ne sei sicuro? Ricordi di tutte le foto? Certo che no, ci sono loro apposta.
Hai vinto sul tuo futuro.


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