lunedì 24 giugno 2013

Pierpaolo (bozzetto di un uomo)

Il giorno dopo è sabato. Arianna deve andare a scuola anche oggi, mentre Pierpaolo è libero da impegni con lo studio. 
-Amore, vai tu a preparare il caffè?
-no tesò mi scoccio, sono ancora stanco. Vai tu
-e no, io devo lavorare, tu oggi sei a casa.
-si ma io ieri ti ho fatto un massaggio ai piedi.
Arianna si toglie le coperte di dosso con un gesto appena plateale che intende sottolineare come la prospettiva di preparare il caffè, portarlo a letto a Pierpaolo e poi andare a lavorare non sia molto esaltante.

-ecco qua il caffè dell’avvocato
-grazie amore sei proprio un tesoro
-tesoro un corno. Senti io adesso mi preparo e poi me ne vado ci vediamo a pranzo. Non ti dimenticare che alle dieci hai allenamento.
-si, ciao
-ciao
Pierpaolo è stato un discreto giocatore di calcio. Quando era ancora nell’arma faceva parte della squadra di calcio della radiomobile. Lì, di norma, prestavano servizio i ragazzi più giovani ed in forma. La loro squadra era il tormento di tutte le altre.
Da quando lavora come praticante, Pierpaolo non è riuscito a trovare una squadra che facesse al caso suo. I vecchi colleghi avevano orari diversi dai suoi e difficilmente riusciva a combinare con loro. 
Chissà come è uscito fuori il discorso  con Gioacchino, il prete della sua parrocchia.
-pierpà, ma a pallone ci giochi più?
-eh Gioacchino, ma come faccio? Con lo studio da seguire e Arianna. Mica la posso lasciare a casa sempre sola per un motivo o per un altro, con lei che paga tutti i conti.
-hai ragione. Però mi dispiace perché so che ti divertivi con il pallone. 
-eh Gioacchino, quella è pure l’età che avanza: non sono più un ragazzino.
-ma non dire fesserie adesso. Piuttosto, noi qui avevamo una mezza idea di mettere su una squadretta per i ragazzi del quartiere. Perché non vieni ad allenarla tu?
-io e che ne so di come si allena una squadra?
-guarda che mica viene a giocare Gullit qua. Ai ragazzi basta uno che sappia come giri la palla, un paio di schemi li conosci pure tu, no?
-beh un paio, sì. Mi ricordo quelli del mister di quando giocavo in eccellenza.
-e allora! Non farti pregare, vieni ad allenare questi ragazzini. Che più che altro hanno bisogno di una persona seria ed equilibrata con cui passare un po’ di tempo. Un modello.
-mi basterà allenarli un po’. Per i modelli si rivolgano a te che è meglio.
-amen.

E così Pierpaolo è diventato l’allenatore della squadra under 18 del quartiere. Ci sono anche un paio di fuoriquota: ragazzi più grandi, ma nessuno al di sopra dei 21.
Non credeva che allenarli sarebbe stato così divertente.

La sera precedente al primo allenamento era rimasto a parlare con arianna un po’ più del solito. Era nervoso Pierpaolo –e se non li so allenare? Se non gli sono simpatico? Se non so gestire lo spogliaotoio?
A sentire la parola ‘spogliatoio’ Arianna quasi si strozzava dalle risate –ma se la parrocchia non ce l’ha nememeno lo spogliatoio, che ti vuoi gestire?
-ma annina “gestire lo spogliatoio” è una frase fatta per dire…
-lo so che vuol dire. E credimi non c’è nessuno meglio di te che possa gestire uno spogliatoio. Soprattutto se lo spogliatoio non c’è.
Quest’ultima frase la fece ridere ancora di più. Pierpaolo non trovava proprio nulla di comico.
E veramente il giorno dopo non ci fu nulla di comico nell’allenamento. I ragazzi lo stavano a sentire svogliati, e si passavano il pallone anche quando Pierpaolo gli diceva di stare zitti e fermi. E poi c’era la questione razziale da chiarire. 
Nella loro città, quello era il quartiere degli emigranti. In uno stesso palazzo, magari su uno stesso pianerottolo ti potevi trovare famiglie arabe e coreane, nigeriani e polacchi. Non sempre l’integrazione era semplice.
Quegli stessi conflitti, Pierpaolo, se li trovò spesso in campo da gestire durante l’allenamento. 
Non emergevano subito, chiaro. Il primo quarto d’ora passava di solito tranquillo. Poi quando si iniziava a fare una partitella, c’era sempre qualcuno che prendeva con più facilità una caviglia che la palla e così partivano gli insulti, e dopo gli insulti le minacce, e dopo le minacce volavano le spinte, le squadre che si riaggregavano sulla base dei colori della pelle invece che delle magliette. Il pallone che rotolava solitario al di fuori del campo.

Pierpaolo in quei momenti non sapeva che fare. Per prima cosa era sbigottito da quello che sentiva dire ai ragazzi, dalle offese che si sputavano in faccia senza pensarci una volta, dall’odio, dal livore che si scaricavano a vicenda e che non sembrava possibile potessero covare gli uni con gli altri solo per via della loro razza.

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